Intervento d’inizio seduta nel Consiglio Comunale del 12 dicembre 2005
Rassegna Stampa
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ricordo di sylos labini
INTERVENTO DI INIZIO SEDUTA
IN RICORDO DI PAOLO SYLOS LABINI
Nei giorni scorsi, molti autorevoli commentatori hanno ricordato Paolo Sylos
Labini partendo dal suo spietato attacco a quanti, beneficiati dalla rendita
parassitaria e definiti “topi nel formaggio”, erano e sono la palla al piede,
la zavorra frenante, dell’economia e della società italiane.
Il “professore” è morto a Roma all’età di 85 anni. Appassionato discepolo di
Smith e Schumpeter, maestro di alcune generazioni di economisti, era stato
anche autore nei primi anni ’70 di un saggio sulle classi sociali in Italia e
di un saggio sulla programmazione.
Sylos Labini, con Giuliano Amato e Giorgio Ruffolo, era stato uno dei
protagonisti della pianificazione economica coordinata da Antonio Giolitti,
durante i primi anni del centro sinistra. Una programmazione che puntava alla
redistribuzione del reddito, destinando gli aumenti verso consumi ed
investimenti sociali, riequilibrando territorialmente lo sviluppo economico e
propugnando una politica urbanistica dei servizi sociali.
Paolo Sylos Labini era stato un sostenitore dell’incontro delle classi medie
del nostro Paese (da sempre politicamente instabili e disponibili verso la
destra) con una sinistra non ostile al dialogo proficuo con la borghesia
italiana. Socialista di cultura laica, era stato sempre indipendente. Due
episodi emblematici di tale libero agire vanno ricordati. Nel 1972, docente
all’Università di Cosenza, aveva guidato l’attacco dei professori contro i
metodi clientelari del capo indiscusso del PSI, Giacomo Mancini. Alcuni anni
dopo, in pieno sequestro Moro, aveva spezzato il fronte della trattativa
sostenuto da Bettino Craxi, sottoscrivendo una lettera aperta al PSI con 30
autorevoli socialisti (Stefano Rodotà, Paolo Leon, Gianfranco Amendola, Piero
Boni), nella quale si chiedeva di rinunciare a proporre o a condividere
iniziative che “comportino concessioni o cedimenti dello Stato”.
L’ultimo Sylos Labini è quello che ho avuto l’onore di conoscere dopo
l’elezione in Consiglio comunale. Il “professore”, con Achille Occhetto,
Giulietto Chiesa, Diego Novelli, Elio Veltri ed Antonello Falomi aveva dato
vita al “Cantiere per il bene comune”
E’ stata la fase conclusiva della sua vita, segnata dallo sdegno profondo per
le “trovate economiche” di Tremonti e per le sconcezze politiche e giudiziarie
del governo Berlusconi. Sylos Labini, erede del rigore civile di Gaetano
Salvemini e di Ernesto Rossi, definiva questa battaglia come “la nuova
questione morale”. Una necessità politica nella quale, pur venendo da
itinerari diversi (dall’ex PCI alcuni, dalla sinistra riformista altri),
abbiamo scoperto comuni affinità di denuncia e di lotta.
Interveniva sempre nelle riunioni nazionali del Cantiere e la sua flebile voce
dall’accento romano imponeva il silenzio in sala. Manifestava sdegno ed
insofferenza per le sorti del nostro Paese nelle mani di questo Governo,
esprimendo anche grande preoccupazione per i rischi che corrono le stesse
forze di centro-sinistra. Ci allertava sui rischi di una questione morale che,
a macchia d’olio, si sta estendendo a tutto il Paese. Achille Occhetto ricorda
di come fosse preoccupato per le scalate alle banche ed ai giornali
dell’estate scorsa. Parlava di una mutazione della stessa sinistra.
Triste ma sagace, aveva definito l’Italia “un paese a civiltà limitata”.
Serafino D’Onofrio